di Ferdinando Fabbri
(Sarò un po’ lungo, quindi chi ha fretta o poca voglia di leggere, è avvisato da subito.)
Pensavo proprio che questa volta ce l’avremmo fatta, saremmo potuti andare al ballottaggio. Le premesse c’erano tutte: una Coalizione Civica che voleva essere il frutto di un patto fra cittadini per il cambiamento. Un ottimo candidato, capace, competente e Bellariese doc. Un programma importante che metteva al centro la famiglia e l’innovazione della città. Se a ciò si aggiungeva poi il giudizio diffuso fra i cittadini di un’amministrazione uscente modesta, con scarsi risultati ed interventi pessimi come quello sul porto, il quadro sembrava sposarsi esattamente con lo slogan del candidato Bucci: adesso, si cambia.
Così non è stato, il centrodestra ha vinto nettamente al primo turno con il 53,98% dei consensi.
Confesso, sono rimasto spiazzato dal risultato. Ho fatto tante campagne elettorali, sono stato amministratore pubblico per ben 33 anni di seguito (dal 1976 al 2009), ho 64 anni, sono iscritto al PD e continuo ad occuparmi di questioni locali con gli amici di Ottopagine per la passione innata della politica intesa come libero servizio verso la comunità in cui si vive. Avrei dovuto quindi essere più lucido e capire che le probabilità di perdere al primo turno erano assai superiori delle possibilità di andare al ballottaggio. Invece la delusione è stata grande, non posso negarlo.
C’è da chiedersi come mai il centrodestra, al di là dei candidati che propone, è così difficile da battere? O, come direbbe il vecchio Gramsci, come mai esprime un’egemonia culturale e sociale così radicata a Bellaria Igea Marina? Mi si permetta in questa modesta riflessione di prenderla alla lontana.
Non ricordo bene se era la primavera o l’autunno del 2007. In una serata piacevole, non fredda, dopo aver passeggiato lungo la spiaggia fino al porto, torno indietro sul lungomare Colombo e all’esterno di un albergo, forse l’hotel Milano o un altro, incontro per caso Italo Lazzarini, leader storico della Democrazia Cristiana locale, che era fuori, forse a fumare, mentre dentro c’era la riunione di tutti i rappresentanti del centrodestra locale che stavano ragionando sul come organizzarsi per presentarsi uniti alle elezioni amministrative del 2009, dopo la sconfitta, inaspettata, perché divisi, del 2004. Erano circa le 23. Lo saluto e iniziamo a chiacchierare prima su cose generiche, poi finiamo col parlare di Bellaria. Sapevo dei loro movimenti, dell’idea di unire la destra anche quella di stampo post-fascista alla democrazia cristiana locale per sconfiggere la sinistra e quindi gli dissi, in sintesi: “Italo ma perché ti vuoi chiudere in un rapporto stretto con la destra, recuperiamo lo spirito del Laboratorio che ci ha visto governare insieme per sette anni (dal 1993 al 1999). Riuniamo la nostra gente. Voi proponete come sindaco una persona di vostra fiducia e noi, sinistra, la sosteniamo. Fa tu il nome”. Parlammo a lungo. Ma non riuscii a convincerlo, per lui era ancora aperta la ferita della rottura, pesante, del 1999 che aveva interrotto dopo un solo mandato di quattro anni la sua esperienza di sindaco. C’era un profondo risentimento, l’aveva segnata, fino al punto di saldare la “sua” democrazia cristiana alla destra di Alleanza Nazionale. Di fatto quell’incontro occasionale aveva ratificato, direi suggellato, la rottura del centro con la sinistra in maniera definitiva, producendo in maniera opposta un contratto politico e di potere fra i cattolici locali e la destra che ha portato 10 anni di giunta Ceccarelli e ora l’elezione di Filippo Giorgetti.
Il centrodestra ha vinto per tre volte con l’apporto decisivo, ogni volta, dell’UDC, ovvero della democrazia cristiana, che ha i suoi punti di forza in alcune parrocchie a partire da Bordonchio e nella gestione della Banca di Credito Cooperativo. E’ una situazione molto locale, atipica rispetto al quadro generale, tant’è vero che l’UDC esiste ormai solo nelle elezioni amministrative di Bellaria Igea Marina. Però esprime una realtà sociale e politica fertile la cui vera contraddizione è il rapporto anomalo con la Lega, oggi, e prima con la destra post-fascista. Se a tutto ciò si unisce il vento grigio che spira in Italia che fa del centrodestra di Salvini il vero dominus del Paese si comprende, senza troppe difficili analisi, il perché dell’ennesima sconfitta del centrosinistra nella nostra città.
So che alcuni amici laici non sono propensi a prestare troppa attenzione ai cattolici locali ex DC, così come non hanno mai amato quello che allora (1992) chiamammo “Laboratorio politico”, e aggiungono che è passato troppo tempo per fare riflessioni su blocchi sociali degli anni Novanta e su schieramenti marcatamente partitici in un mondo che va veloce e tutto frulla. Altri ancora preferiscono spostare l’accento sull’evoluzione della destra che ha trovato nuove bandiere prima in Forza Italia e ora nella Lega di Salvini, sapendo cogliere in maniera efficace i bisogni elementari delle famiglie a partire dalla sicurezza. Tuttavia la politica, come la natura umana, è scontro prima di tutto di interessi che si impastano poi con valori e idee. Raramente avviene il contrario. E l’Unione di Centro (ex DC locale), come i gruppi politici che sono rimasti tali, è un insieme d’interessi e di valori che gli ha consentito in questi dieci anni di mantenere un consenso dell’8 -10% rimanendo determinante per l’affermazione al primo turno del centrodestra a Bellaria Igea Marina. C’è una specificità locale, insisto, di interessi, di consuetudine identitaria e di relazioni valoriali dei cattolici bellariesi e igeani, espressa sotto il simbolo Unione di Centro e scudo democristiano, che ha fatto la differenza nel colore di chi ci governa. Non so se rimarrà tale nel tempo ma oggi, come ieri, ha avuto un peso importante.
Sarebbe sbagliato però fermarsi nella riflessione. Bisogna guardare anche l’altra faccia della medaglia, quella della sinistra bellariese. Qui c’è un problema di fondo che è rappresentato dalla difficoltà di intessere relazioni sociali lunghe. Il PD si attesta alla soglia del 20% e poco più. Ma al di là delle percentuali, vi è una fotografia chiara, facile da vedere, che segnala drammaticamente la mancanza di ricambio della sua classe dirigente, di nuove energie pronte a sostituire quelle che oramai hanno fatto per tanti motivi il loro tempo. E questa mancanza è l’effetto di povertà di relazioni, di presenza attiva e riconosciuta nei luoghi dove si articola e si organizza la comunità: associazioni, sindacato, parrocchie, scuola, centri sportivi. C’è stato negli ultimi 15 anni un progressivo impoverimento della sua base sociale, non solo numerico.
Da qui occorre ripartire, attivare presenze sociali vere e relazioni lunghe, mettendo in campo energie fresche che in questa campagna elettorale si sono viste, per fortuna, in tutte e tre le liste della coalizione civica. Bisogna ripartire dalle donne e dai giovani che in queste settimane hanno dimostrato, con la loro disponibilità e creatività, essere la vera risorsa della minoranza di centrosinistra. Si costruisce su nuove basi per ricandidarsi alla prossima occasione a governare la città. E’ un lavoro difficile e lungo. La strada però è questa.