A proposito di Bellaria e la Carrà

Non c’è molto da aggiungere dopo le tante cose belle scritte e dette su Raffaella Carrà, nostra famosa concittadina. Tuttavia, voglio ricordare la sua riconciliazione con Bellaria perché ne sono stato, nella mia funzione di sindaco d’allora, il principale fautore.

Nella primavera del 1986, i lavori che trasformavano la strada trafficata di viale Paolo Guidi – con tanto di doppio senso di marcia e semaforo – in un salotto pedonale di rara bellezza urbana si stavano ultimando. Si realizzava una “vera rivoluzione” come scrisse Silvano Cardellini sul Carlino. Per un’opera così importante ci ponemmo subito, io e i miei più stretti collaboratori, fra i quali voglio ricordare i dipendenti comunali Giorgio Pasquini e Nerio Zanzini, il problema di che tipo di inaugurazione fare per dare il massimo risalto a qualcosa che rappresentava per la nostra città un grande salto in termini di qualità urbana e ricchezza turistica. Che fare dunque?

Non so chi lanciò per primo l’idea, di fatto il nome Carrà venne fuori subito. Lei, la donna più amata, il personaggio più in vista dopo il presidente Pertini, bellariese a tutti gli effetti seppur nata a Bologna, doveva essere la nostra madrina. La scelta più logica e superlativa.

C’era però un problema, sapevamo che non voleva più partecipare a manifestazioni pubbliche a Bellaria, dopo l’infelice esperienza della festa allo Chez-Vouz organizzata negli anni ’70 dagli albergatori. Come fare?

Ne parlo con Odo Fantini, storico sindaco e amico stretto della mamma. Poi chiamo anche Nadia Masacci cugina e amica di sempre della Carrà. Grazie ai loro contatti e ad un paio di lettere ufficiali inviate, riesco ad avere un primo incontro a casa sua a Bellaria in piazza Matteotti, presente la mamma e il fratello Renzo. Ero emozionato. Ci fu subito un rapporto diretto, cordiale. Apprezzava i lavori che si stavano facendo, avendoli visti dal nascere, e quando gli chiesi di partecipare all’inaugurazione mi disse che se fosse stata libera, forse, avrebbe potuto esserci. Condivideva lo sforzo di cambiare radicalmente il centro della città. Ci lasciammo con l’impegno di rivederci al suo prossimo ritorno.

Il ghiaccio era rotto, si era riaperto un rapporto diretto. Ci rivedemmo sempre a casa sua dopo un paio di settimane, presente questa volta anche Sergio Japino, suo compagno. In quell’occasione proposi alla Carrà di partecipare all’inaugurazione dell’Isola dei Platani per la domenica del 22 giugno, che in quel 1986 non la vedeva impegnata, specificando che sarebbe stata una cerimonia sobria, in piazza Matteotti, sotto casa sua. Il programma era essenziale: un mio intervento da sindaco per illustrare il valore e il significato dell’opera, un suo breve saluto, la benedizione del prete, il taglio del nastro e la mega torta per tutti. Accettò e condivise lo spirito dell’evento. La domenica 22 giugno 1986 fu un’apoteosi. Migliaia di persone assiepate in ogni angolo della piazza per vedere e ascoltare Raffaella e per suggellare il successo straordinario dell’Isola dei Platani. Andammo su tutta la stampa nazionale e anche su alcuni servizi dei TG Rai. Un grande successo, tutta la comunità ne fu orgogliosa.

Ero così riuscito a stringere con lei un bel rapporto, cancellando vecchie esperienze non gradevoli. Le poche volte che ci siamo visti, accompagnate da qualche telefonata e da mie lettere formali di saluti e di auguri per il suo lavoro, sono bastate per instaurare un rapporto di amicizia semplice e diretta. Un’amicizia sincera che ha portato il sindaco di Bellaria Igea Marina ad essere invitato la domenica pomeriggio dell’8 luglio 1990 in diretta nazionale nel programma Rai “Ricomincio da due” condotto da Raffaella Carrà per parlare di Bellaria, di turismo romagnolo e delle sue prospettive.

Raffaella Carrà era una persona disponibile, gentile, cordiale, legata alla sua terra e alla sua casa di Bellaria nonostante avesse messo radici, fin dai suoi primi passi d’artista, a Roma. La ricordo con affetto sincero. E sarebbe bene che un ricordo altrettanto sincero, delicato, con la giusta misura, come lei avrebbe voluto, rimanesse nella nostra cittadina.

Ferdinando Fabbri